Sono ormai settimane che tra gli Avvocati si sta svolgendo un dibattito serrato sulla c.d. “Fase 2” dell’Emergenza Covid.

Che sia chiaro, questo periodo appena passato non è stato uno scherzo per nessuno: chi ha potuto ha lavorato a regimi davvero bassissimi, mentre la maggioranza degli Avvocati italiani è stata costretta alla chiusura.

All’inizio della pandemia, gli Avvocati si sono scatenati sui social – e non solo – rivendicando la funzione costituzionale di “servizio essenziale” e quindi contestando la paventata ipotesi di interruzione totale dell’attività professionale. In questa fase, devo dire, ho riscontrato una certa compattezza nella categoria (e quando mai!!?) nel difendere una posizione. Sembrava che l’emergenza fosse riuscita a compattare una categoria quanto mai divisa ed inorganica. Ricordate a Pasqua il tormentone lanciato da Gian Domenico Caiazza “Con la toga sulle spalle e nel cuore”? Un bel momento, davvero.

Durante la Fase 1, però, si è cominciato a parlare di “processo da remoto” e lì la compattezza dell’avvocatura è andata a farsi benedire: subito si sono schierati  quelli che “l’udienza in Tribunale è intoccabile“, con in prima linea gli Avvocati penalisti che sostengono l’incompatibilità dell’udienza da remoto con la tutela dei diritti dell’indagato, ed in primis del recluso.

Ma anche gli Avvocati civilisti, più avvezzi al telematico e quindi in teoria più favorevoli al processo da remoto, si sono spaccati in più fronti contrapposti: ci sono gli irriducibili, quelli che sono disposti a farsi una fila di due ore sotto il sole, pur di entrare nelle aule di Tribunale (magari, per poi essere rimandati a casa perchè lo stare al sole per così tanto tempo ha provocato un innalzamento della temperatura corporea, prontamente segnalata dall’addetto al controllo degli accessi); ci sono i telematici ostinati – tra cui il sottoscritto – che insistono e persistono nella utilità dell’udienza da remoto, soprattutto per evitare la proliferazione dei rinvii ad ottobre, se non ad anno nuovo; poi ci sono gli indecisi, quelli che non sanno o non vogliono sapere.

E la “battaglia” tra i favorevoli ed i contrari davvero sta tenendo banco sui social e gli Avvocati continuano a discutere anche animosamente a difesa delle rispettive posizioni.

Ma leggendo tutti questi rispettabilissimi punti di vista mi chiedo: siamo testoni o siamo capponi?

A mio modesto avviso, infatti, il problema reale non è udienza da remoto si o udienza da remoto no: il punto nodale della questione è riprendere a lavorare in condizioni ottimali, utilizzando, ove possibile, tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per raggiungere un risultato utile e, quindi, anche il processo da remoto che, si badi bene, è uno strumento eccezionale, limitato a risolvere un problema straordinario derivante dalla pandemia COVID. L’obiettivo dell’intera classe forense non dovrebbe essere quella di spingere verso soluzioni impraticabili o avventate, come quella di mettersi in fila per due ore per entrare in Tribunale, ma di lottare per tentare di ottimizzare un lavoro reso difficilissimo dalla straordinarietà degli eventi, seguendo il principio della limitazione del rischio.

Invece, come sempre, ci si divide su posizioni di principio anche pericolose, mentre gli unici risultati davvero concreti sono:

a) moltissime udienze vengono rinviate;

b) gli Avvocati che hanno necessità di andare in Tribunale, sono costretti ad una lunga coda per poter accedere alle Aule d’udienza;

c) i Magistrati, secondo il principio di autonomia, sono liberi di determinare se e quali udienze rinviare o svolgere con la modalità della trattazione scritta o da remoto;

d) gli accessi in Cancelleria sono contingentati e limitati;

e) comunque ed in ogni caso, il nostro lavoro è ridotto al minimo.

Per me non ci sono dubbi: continuiamo a litigare, ma poi alla fine, faremo sempre la fine dei capponi di Renzo.

“Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.”

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